di Stefania Tempesta
Psicologa Ordine Psicologi Lazio
La narrazione ha un ruolo importante nell’ambito del colloquio psicologico.
Quando la persona che chiede un supporto psicologico viene accolta nel setting terapeutico comincia la narrazione: la mimica facciale, la postura, la gestualità iniziano a raccontare le caratteristiche della persona attraverso il linguaggio non verbale, e il professionista ne coglie le peculiarità. La persona racconta poi di sé nel dialogo con l’altro, in cui si attiva un flusso di pensieri, emozioni, sensazioni e percezioni che descrivono la sofferenza da cui nasce la richiesta d’aiuto.
La narrazione del vissuto interiore diviene ancor più efficace quando viene messa per iscritto, di fronte al professionista o al di fuori dell’incontro: quando pensieri ed emozioni vengono scritti sulla carta assumono contorni più nitidi, si delineano con chiarezza, paiono quasi tangibili e malleabili, e divengono oggetto di osservazione. Sentiamo il punto di vista dello scrittore Francesco Rodolfo Russo, autore tra gli altri de Il grande tessitore – Alla ricerca del tempo.
Domanda: Francesco, tu sei un autore di romanzi, racconti e tanto altro; che cosa significa per te la narrazione?
Ho iniziato a raccontare storie fin da bambino; le narravo a me stesso, quando giocavo da solo, al mio fratellino, a parenti e amici. A quattordici anni scrivevo testi per canzoni, poi poesia. Infine dopo aver scritto e pubblicato sui giornali e in volume circa duecento racconti sono approdato al romanzo. Ho declinato l’esistenza in molti modi. Nella composizione poetica ho cercato l’equilibrio investendo le parole di significato: si utilizza una parola per proiettare un’immagine (fanopea) sull’immaginazione del lettore o la si carica di suono (melopea) oppure si utilizzano gruppi di parole per fare questo o quello (logopea). La poesia raramente nasce da un animo divertito. La prosa è altro. Le storie narrate non hanno una struttura metrica, le frasi grammaticali sono complete e raggruppate in paragrafi.
Per ciò che mi riguarda, le mie opere poetiche nascono da un ripiegamento interiore mentre un racconto o un romanzo dal desiderio di sentirmi regista e attore. Nella narrativa io dirigo i personaggi e ne interpreto qualcuno, a volte completamente diverso da me, così come capita agli attori.
Domanda: Mi colpisce la tua riflessione: dalla poesia che nasce da un ripiegamento interiore, al racconto e al romanzo, in cui emerge il desiderio di sentirti attore o regista. Anche la richiesta d’aiuto nasce spesso da un ritiro in una zona privata, in cui dolore e sconforto comprimono l’individuo; durante il percorso terapeutico si supporta la persona per far sì che emergano risorse che la porteranno a diventare protagonista del proprio percorso esistenziale, nonché attore consapevole della propria vita.
Un buon percorso psicologico fonda sulla “relazione”: la persona che vive il disagio non è più sola, ma insieme con l’altro. Nell’immaginario collettivo lo scrittore è un essere solitario, seduto alla scrivania e intento nella scrittura. Per produrre un buon romanzo è necessario rinunciare alla relazione e accettare la solitudine come strumento di lavoro?
Non so che cosa muova gli altri prosatori a scrivere, quindi rispondo per me. Penso che a determinare la bontà di un romanzo non sia la solitudine, ma la capacità dell’autore di attrarre il lettore nella trama che sviluppa. È vero che si scrive in solitudine, ma non si è da soli: i personaggi della vicenda durante la stesura sono presenti. Con loro si conversa, si litiga, si viaggia, si sosta a osservare il circostante, se stessi. Prima di iniziare a scrivere, mi capita di pensare a una o più storie lungamente. Lo faccio in vari luoghi; incontro i personaggi, stabilisco i protagonisti… in conclusione, sono da solo in mezzo a una folla: a volte è un affollamento reale, a causa delle persone che ho intorno, che si aggiunge agli attori della fantasia. Alcune persone reali entrano nei miei libri come personaggi, ma raramente sono protagonisti. Il romanzo è finzione.
Domanda: Sembra quindi che la fantasia dell’autore tragga nutrimento dal contesto reale, in cui egli scopre luoghi nuovi e incontra molte persone.
Come riesci a costruire un romanzo tra “realtà” e “fantasia”?
I romanzi non nascono nello stesso modo; «Margherita è anche un fiore» è un romanzo “immediato”, scritto in un mese e rimaneggiato in un anno. Racconta la storia di un automa che, animato, diventa “creazione”con l’aspetto di una ragazza. «La mansio di Glesia»,invece, è un romanzo ambientato in una domus templare e ha tre piani di lettura: storico, investigativo e spirituale. Penso che questi due esempi siano sufficienti. Entrambi sono nati frequentando la Liguria. Per il primo ho fatto una ricerca sulle piante coltivate in serra, per il secondo c’è voluto un approfondimento storico a tutto campo del luogo dove si svolge maggiormente la vicenda: Glesia, ossia l’attuale Campochiesa una frazione di Albenga, che nel libro è chiamata Arbenga e così via.
Il viaggio per uno scrittore è importante, sebbene non sia determinante. L’ispirazione arriva leggendo un articolo oppure osservando una cane che attraversa la strada. Tuttavia, quando scrissi «Margherita è anche un fiore» andai di proposito in Francia per verificare un’affermazione fatta nel libro e per “respirare” l’atmosfera che avevo soltanto immaginato. L’affermazione era parzialmente errata e l’ambiente vissuto “in presa diretta” evocativo.
Domanda: Ciò che narri nei tuoi romanzi è frutto perciò di un’esplorazione a tutto tondo: conosci luoghi nuovi, ne cogli le caratteristiche, ti soffermi ad osservare, tutto questo diventa un’esperienza interiore che decidi di raccontare, se ho inteso bene.
Non manca però la volontà di coinvolgere altri autori nella stesura di alcuni tuoi libri. Sentivi la necessità di “non essere da solo?”
Si è da soli anche nel romanzo scritto a più mani. Ne «Il colpevole è Maigret», dopo aver scritto un capitolo in cui narravo l’inizio della storia proposi ad alcune persone di partecipare alla sperimentazione. In qualità di narratore (scrissi il secondo capitolo, quello centrale e l’ultimo) ero l’unico a conoscere il finale. I partecipanti non si conoscevano fra loro e procedevano senza sapere che cosa scrivevano gli altri. Lessero la prima parte del libro dopo il capitolo centrale. Ovviamente curavo la regia. La particolarità del romanzo sta nel fatto che ogni partecipante interpretava, scrivendo in prima persona, un personaggio con una professione affine a quella realmente occupata nella vita: l’imprenditore del romanzo svolgeva quel lavoro nella vita, il fumettista lo stesso, così come il dirigente della polizia scientifica di Piemonte e Valle d’Aosta, il regista e così via.
La storia de«Il firmamento in un fazzoletto» ruota quasi interamente intorno al ristorante di confine Le jeu est caché. In quel posto a Breil-sur-Roya i personaggi si incontrano, si osservano, immaginano, pontificano, si impicciano dei fatti altrui, nascondono i segreti più profondi. È stato interessante constatare che cosa un autore possa far vagheggiare al proprio personaggio e quali inimmaginabili azioni possa fargli compiere. Penso che la vita reale sia così. Anche in questo romanzo, il finale era noto solamente a me.
In entrambi i romanzi molti scrittori non si conoscevano. Ho fatto incontrare alcuni in occasione di qualche cena, altri durante le presentazioni del libro.
Domanda: L’inizio della pandemia nel 2020 ha posto un freno a viaggi e incontri con altre persone; quanto ha inciso tutto questo sulla tua professione di scrittore?
Durante la chiusura del 2020 ho pensato di realizzare un’idea su cui riflettevo da qualche anno: un libro sul Tempo. Ho proposto quindi a un certo numero di persone – alla fine avremmo raggiunto il totale di quindici – di trascorrere una parte del loro tempo nell’ozio che per gli antichi romani non aveva il significato negativo odierno, ma il senso di tempo votato al piacere dell’intelletto, di momento di eccellenza, di stile di vita elevato, quindi di buone letture, di meditazioni filosofiche, di gusto per l’arte, la vita sociale e conviviale… Cicerone amava dire: «Ozio con dignità». Negando il Negotium (Nec otium) vale a dire gli affari, il lavoro, il commercio e attività simili, nasce «Il grande Tessitore – Alla ricerca del tempo». Ognuno degli autori si è dedicato un po’ del suo tempo e lo ha dedicato a tutti noi.